Tranne rare
eccezioni noi non amiamo le grandi città, ma Dakar rappresenta
qualcosa di più dell'essere la capitale del Senegal:Dakar è la
Dakar pensavamo! E poi noi non avevamo scelta, a Dakar dovevamo
andare all'ufficio doganale dove far prolungare il “passavant”
temporaneo che ci avevano “concesso” in dogana.
Come spesso ci
succede, una volta giunti a Dakar avevamo deciso di seguire il nostro
istinto che ci stava portando a virare verso ovest rispetto al centro
città, ed è così che ci siamo ritrovati a cercare un posto dove
dormire tra le vie strette e sabbiose di Yoff-Village, un animato
quartiere popolare situato sulla costa atlantica.
Anche questa volta
il sesto senso aveva la sua ragione.
A parte il fatto che
eravamo riusciti a trovare un simpatico albergo con una magnifica
terrazza panoramica che fungeva da frangiflutti alle impetuose onde
dell'Atlantico, il piccolo quartiere di Yoff si presentava
particolarmente pittoresco ed autentico.
La mattina seguente
ci saremmo fatti portare da un taxi in centro, all'ufficio doganale,
così nel pomeriggio, una volta risolta la questione “passavant”,
avremmo potuto dedicarci a scoprire Yoff e i suoi abitanti.
Il giorno successivo, come da programma, dopo un estenuante tira e molla con il funzionario doganale per farci prolungare il passavant di almeno altri dieci giorni da aggiungere ai tre che ci avevano rilasciato al confine, potevamo lasciare il centro, alquanto moderno e privo di particolare interesse, e ritornare in tempo a Yoff per assistere alla “cerimonia” quotidiana del rientro delle piroghe cariche del pescato.
Il giorno successivo, come da programma, dopo un estenuante tira e molla con il funzionario doganale per farci prolungare il passavant di almeno altri dieci giorni da aggiungere ai tre che ci avevano rilasciato al confine, potevamo lasciare il centro, alquanto moderno e privo di particolare interesse, e ritornare in tempo a Yoff per assistere alla “cerimonia” quotidiana del rientro delle piroghe cariche del pescato.
Una volta giunti
sulla spiaggia, la cartolina che si è presentata ai nostri occhi
valeva, da sola, l'intero viaggio.
Alla nostra destra
erano parcheggiate, a riposo, un gran numero di piroghe
coloratissime, ognuna diversa dall'altra.
Davanti a noi, sul
bagnasciuga, una folla colorata e vociante si accalcava nell'attesa
delle grandi piroghe che proprio in quel momento stavano
sopraggiungendo.
Man mano che le
grandi imbarcazioni arrivavano, venivano circondate da chi era in
attesa sulla spiaggia, e poi, di buona lena tutti aiutavano a
scaricare il prezioso bottino.
Nel frattempo
sopraggiungevano i cavalli che trascinavano i carretti di legno sui
quali finiva il pescato migliore per essere trasportato al di fuori
della spiaggia. Il resto del pesce, veniva recuperato dalle donne,
spesso con i figli piccoli in grembo, per essere da loro venduto su
bancarelle improvvisate sulla spiaggia.
Una volta scaricato
tutto il pesce, i pescatori potevano iniziare ad occuparsi di
sistemare le grandi reti circondati da ragazzini che cercavano di
imitare i gesti esperti dei padri.
All'arrivo di ogni
imbarcazione la scena si ripeteva e così si ripete sulla spiaggia di
Yoff ogni giorno.
E quando anche
l'ultima piroga è rientrata e tutto il pescato è stato scaricato,
la spiaggia si trasforma in tanti campi di calcio, quanti sono i
gruppi di età. Tutti corrono dietro ad un pallone per cercare di
fare goal tra due pneumatici infilati nella sabbia che fungono da
porta.
Nel mare invece è
il momento in cui inizia la gara delle piroghe, una sfida alla piroga
più veloce.
E questo si ripete
sulla spiaggia di Yoff ogni giorno.
Però quel giorno
sulla spiaggia di Yoff c'era una novità, e quella novità eravamo
noi.
Gli unici due
“Toubab” sulla spiaggia di Yoff eravamo noi.
Noi guardavamo con
interesse loro e loro guardavano incuriositi noi.
Che pomeriggio sulla
spiaggia di Yoff, e quel pomeriggio, in mezzo a quelle persone,
l'Italia sembrava così lontana...
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